Rebor a Lione:
http://street-art-lyon.com/11/01/2017/rebor-art-cabinets-contemporains/
I “Cabinets contemporaines” nascono da una precisa e volontaria provocazione fin dal titolo: se la consacrazione di ogni artista è quella di riuscire ad esporre la propria opera in un grande Museo (che possibilmente si occupi di arte contemporanea), Rebor la riesce ad attuare in un luogo non propriamente deputato a questo.
I “cabinets”, nella loro accezione originale, sono luoghi di studio e di produzione del sapere: la traduzione italiana in “gabinetti”, nel comune eloquio, rimanda a tutt’altra funzione.
Il senso del gioco, del “Jeu” (di chiara ispirazione Dadaista) è già qui nel titolo e prevede di far diventare anche la provocazione un puro atto estetico.
(gennaio 2017) i musei coinvolti sono stati: il MAC di Lyon, il MUSEE DES CONFLUENCES di Lyon e Il MUDEC di Milano durante l’esposizione di Basquiat (volutamente con un senso di omaggio verso l’artista), Musée di Louvre, la GAM di Torino, MAMAC di Nizza e alla National Gallery di Londra.
L’intento di Rebor è quello di provare in modo giocoso, ma al contempo con un senso di sfida, che esiste un vizio di forma se, ancora, il sistema attuale, nel quale è ingabbiato il fare artistico, riconosce lo status di opera d’arte praticamente nel momento in cui viene esposto nel luogo deputato che è considerato il Museo.
Rebor , attento alla lezione di Duchamp, vuole invece demistificare queste attribuzioni che vanno a costituire il sistema valoriale ed il mercato dell’arte e sottolineare ancora una volta che il fare artistico appartiene prima di tutto al luogo dove viene pensato, dove nasce e dove viene prodotto cioè ovunque. L’arte è totale: lo è nel prodotto come nel gesto, nel suo farsi e nel suo prodursi liberamente nel contesto che le è proprio cioè il mondo. Ha valore in sé non perché viene collocata.
L’azione di Rebor è quindi un’azione ironica ma allo stesso tempo di disturbo: è un richiamarci al senso più antropologico del fare artistico al di là delle sovrastrutture che il potere e la società (intese come mercato) le costruiscono sopra.
Collocando poi una copia di una sua opera, Rebor contesta un certo tipo di pubblico di massa che spesso venera icone senza distinzione tra originale e riproduzione: dal momento quindi che la riproduzione dell’opera non avrebbe valore in sé (è un fatto seriale, industriale), viene da Rebor resa unica manipolandola con interventi pittorici ogni volta differenti. Unicità nella serialità.
Ancora una volta Rebor ci offre un’esperienza estetica con un modello di comportamento libero da ogni condizionamento: un po’ enfant terrible ma genuinamente autentico nel ribadire ancora, a suo modo, con il linguaggio che gli è proprio, che essere e arte coincidono.
L.M.P