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Rebor a Genova: L’UNICA COSA CHE CONTA E’ SAPER BARARE ?


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Rebor a Genova: L’UNICA COSA CHE CONTA E’ SAPER BARARE ?

“L’unica cosa che conta è saper barare”

La nuova opera di Rebor si presenta sotto forma di manifesto, disegno da un frame del film “Le mani sulla città” di Francesco Rosi.

La scelta di prendere a paradigma il personaggio corrotto, faccendiere, trasformista che sa muoversi nel torbido e non esita a cambiare maggioranza, amici e nemici pur di perseguire i suoi scopi, è sintomatico degli eterni mali italiani in cui le nuove (e vecchie) mafie sguazzano da sempre.

Quella degli appalti è una delle facce “presentabili” che utilizza la mafia per muoversi, riciclare, corrompere.

“L’unica cosa che conta è saper barare” quindi è il leitmotiv che si ripropone, l’unico orizzonte etico che perseguono le mafie e gli individui opachi.

In questo momento storico poi in cui si sta andando sempre di più verso politiche centraliste e autoritarie, in cui i moderni fascisti si sentono in diritto di alzare la testa e reclamare a gran voce, l’odio avanza e l’ignoranza aumenta.

Perché è meglio barare? È più facile che essere onesti?

Avanzano nelle nostre società la capacità di intimidazione e lo sfruttamento dell’emotività delle persone per trarne un guadagno personale, politico, finanziario.

Sfruttare l’emozione delle persone è una strategia che rende off line un’analisi razionale.

Inoltre, l’uso dell’emotività, permette di pervadere l’inconscio, per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori.

La superficialità e la stupidità sono spesso non solo tollerati ma quasi innalzati a modus vivendi e coltivarli fa parte delle famose regole di Chomsky di strategia del controllo sociale.

Zelanti funzionari sono subito pronti ad intervenire su chi ha il coraggio di pensare o si mette fuori dal coro.

Le strategie politiche di questo tempo lavorano sullo stato d’animo attuale della popolazione che in tempi di crisi economica ed etica vive spesso nello smarrimento, fomentandone la rabbia e agendo sulle fragilità .

Non c’è tempo di pensare, non è concesso.

E’ l’età della depressione: chi non urla soccombe sotto questa cappa che vuole tutti belli e vincenti. L’apparire è un barare.

Così, invece di ribellarsi spesso l’individuo si auto-svaluta, entra in un circolo vizioso uno dei cui effetti è l’inibizione della sua stessa azione.

E senza azione non c’è rivoluzione, cambiamento.

I social network e l’inondazione di continue informazioni creano distrazione. Si impedisce di fatto al pubblico di informarsi: la discriminazione delle notizie e dei fatti che contano, sono distorti, veloci: le masse così si possono controllare e deviare dai problemi reali.

Rita Atria scrisse sul suo diario: “Forse un mondo onesto non esisterà mai ma se ognuno di noi prova a cambiare ce la faremo”.

Gli spiragli ci sono, sempre. Anche in tempi bui.

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